
21 marzo a Trapani: memoria ed impegno nella lotta per la verità e la giustizia!

21 marzo a Trapani: memoria ed impegno nella lotta per la verità e la giustizia!
Don Ciotti: “Gli avversari di cui dobbiamo liberarci oggi si chiamano corruzione, mafia, disuguaglianze, povertà e abuso di potere”
Lo scorso 21 marzo le strade di Trapani sono state inondate da decine di migliaia di persone per la “Giornata nazionale della memoria e dell’impegno”, organizzata ogni anno dall’ass. di Libera. Sono 1101 i nomi di giovani, cittadinə, sindacalistə, giornalistə, magistratə, forze dell’ordine, preti uccisi per mano delle mafie e delle complicità politico-istituzionali. Non solo numeri, ma storie di impegno concreto, vissuti segnati da violenze inaudite che, nella maggior parte dei casi, non hanno trovato una risposta di giustizia da parte dello Stato.
Quanti i familiari che lottano tutt’oggi, a distanza di decine di anni, per conoscere e vedere condannati i responsabili dell’omicidio dei propri cari? Quanti i familiari che hanno dovuto prendere atto delle delegittimazioni, dei tradimenti, dell’omertà e dei “non ricordo” di amici e colleghi? Quanti i familiari che si sono imbattuti in un muro di gomma di fronte a tentativi di depistaggio e di copertura delle connivenze di apparati esterni alle mafie?
Penso ad Augusta Schiera e a Vincenzo Agostino, genitori di Nino Agostino, ucciso il 5 agosto del 1989 insieme alla moglie Ida Castelluccio, incinta di pochi mesi: 35 anni dedicati alla ricerca della verità e della giustizia, ma sono morti in attesa di averla. Il loro testimone viene portato avanti oggi, con forza e determinazione, dalla famiglia ed in particolare dal nipote Nino Morana Agostino.
Penso a Salvatore Borsellino, fratello di Paolo Borsellino, ucciso nella strage di Via d’Amelio il 19 luglio 1992 insieme agli agenti della sua scorta Emanuela Loi, Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Vincenzo Li Muli e Claudio Traina, che ancora oggi, nonostante l’età, continua a gridare “Resistenza!” nelle piazze, nelle conferenze, negli eventi.
Penso a Giovanna Maggiani Chelli, madre di una giovane ragazza rimasta gravemente ferita nella strage di Via dei Georgofili il 27 maggio del 1993, in cui morirono i coniugi Fabrizio Nencioni ed Angela Fiume, insieme alle figlie Nadia e Caterina, rispettivamente di 9 anni e 50 giorni di vita e lo studente di 22 anni Dario Capolicchio. Giovanna ebbe sempre il coraggio di esporsi per denunciare i responsabili di Stato coinvolti negli attentati. E ce ne sarebbero tanti, tanti altri: madri, padri, sorelle, fratelli, figli e figlie, nipoti, che instancabilmente informano, testimoniano, chiedono conto allo Stato e lottano affinché la morte dei loro familiari non sia stata vana.
Per noi essere presenti il 21 marzo significa non solo mandare un messaggio di vicinanza e di solidarietà a chi deve sopportare il peso del dolore della perdita ogni giorno, ma anche esprimere la nostra rabbia e la nostra indignazione rispetto alla regressione del nostro Paese nella lotta alla mafia e alla corruzione. Come ha affermato giustamente Don Luigi Ciotti nel discorso di chiusura della giornata, “gli avversari di cui dobbiamo liberarci oggi si chiamano corruzione, mafia, disuguaglianze, povertà e abuso di potere”.©lavialibera
Non possiamo tapparci gli occhi di fronte ai tentativi di riscrittura della storia delle stragi attualmente in corso, che partono dai più alti livelli istituzionali. Si persegue l’obiettivo di occultare le convergenze di interessi che vi sono state nella stagione stragista tra mafia, politica, servizi segreti e massoneria: attraverso nuovi depistaggi, la decontestualizzazione e l’atomizzazione dei fatti, la delegittimazione del lavoro investigativo e dibattimentale decennale di giudici, pubblici ministeri e parti civili.
Fare memoria significa, per noi, essere consapevoli di chi oggi siede all’interno delle stanze del Governo e del Parlamento, condizionando la vita politica, culturale ed economica dei nostri territori. Ci sono alcuni fatti che dovrebbero suscitare scandalo, riempirci di sdegno, inquietare il mondo intellettuale, accademico, giornalistico, politico e soprattutto coloro che fanno carriera farcendo i propri discorsi con parole apparentemente in linea con una ferma lotta alla mafia e alla corruzione. In realtà, sono pochi i magistrati, i giornalisti, i professori universitari, le associazioni antimafia che si schierano apertamente con fermezza, ribadendo l’impossibilità di mediazioni sul mantenimento della legislazione antimafia, unica al mondo, e sulla tenuta dei pilastri fondamentali della nostra democrazia e Costituzione. È sufficiente citarne solo alcuni di questi fatti.
L’attuale commissione parlamentare antimafia è presieduta da Chiara Colosimo, fotografata da giovane insieme a Luigi Ciavardini, terrorista, condannato per omicidio e per la strage di Bologna. È lei che sta guidando i lavori parlamentari che, come già denunciato da vari addetti ai lavori, stanno approfondendo un’unica pista sulla strage di via d’Amelio, quella di mafia-appalti: atomizzando i fatti ed isolandoli dalla strage di Capaci, dalle stragi del 1993 e dal fallito attentato all’Olimpico del 1994, quindi dalla stagione stragista che ha destabilizzato il nostro Paese e che è fondamentale approfondire con uno sguardo d’insieme, tenendo conto del contesto politico, geopolitico e storico in cui vennero compiuti quegli attentati.
Inoltre, le riforme della giustizia promosse negli ultimi anni e quelle in progetto realizzano, in sostanza, gli obiettivi del “Piano di Rinascita Democratica” della loggia massonica P2 di Licio Gelli: controllo del servizio pubblico di informazione da parte del governo; concentrazione del potere legislativo e giudiziario nelle mani dell’esecutivo, attraverso premierato e separazione delle carriere; sottomissione del pubblico ministero al potere politico, attraverso l’obbligo delle procure di perseguire i reati rispettando i criteri di priorità dettati dalle maggioranze politiche parlamentari; attuazione di un sistema di giustizia che garantisce impunità a politici e colletti bianchi, attraverso l’abrogazione dell’abuso d’ufficio, la rimodulazione del traffico di influenze, la riduzione delle intercettazioni a soli 45 giorni, e così via. Per non parlare della circostanza che una delle forze governative determinanti nel panorama politico è rappresentata dal partito politico di Forza Italia, fondato dall’ex senatore Marcello Dell’Utri, condannato per concorso esterno in associazione mafiosa e dall’ex presidente del consiglio Silvio Berlusconi, oggi deceduto, che ha pagato la mafia per 18 anni. E sono solo alcuni dati di fatto.
Come ripeteva Peppino Impastato, dobbiamo “mantenere la capacità di indignarci, prima di abituarci alle loro facce, prima di non accorgersi più di niente”. Per questo crediamo fermamente che il profondo significato della memoria sia prima di tutto cercare di imitare le azioni di coloro che ricordiamo, nella testimonianza, nella sensibilizzazione, nella presenza costante sui territori, nella lotta per i diritti. Spesso commettiamo l’errore di chiamarli “eroi”, come se la loro etica e le loro idee fossero impossibili da seguire perché irraggiungibili: in realtà furono persone che scelsero consapevolmente, accettandone tutti i rischi, dall’isolamento alla delegittimazione, dalle minacce alla morte.
Cesare Terranova, Pio La Torre, Pippo Fava, tra i tanti, ebbero infatti il coraggio di denunciare quel sistema politico-affaristico-mafioso successivamente emerso da indagini e processi, facendo nomi e cognomi, invocando il peso della responsabilità politica da parte di chi ricopre incarichi istituzionali e senza attendere le sentenze definitive della magistratura. Così si vigila sull’etica pubblica. Così si impedisce il contagio del degrado morale in ogni livello della società. Così agisce una collettività che non accetta i compromessi e non legittima le trattative, che non si rassegna alle vicinanze di partiti e referenti di partiti con uomini e donne di mafia.
Non vogliamo contornare la memoria solo di corone di fiori, senza la consapevolezza delle scomode verità emerse negli ultimi decenni. Vogliamo unirci alla voce dei tanti familiari affinché non si abbia paura di raccontare quelle verità nelle scuole, nei convegni, nei dibattiti pubblici. Solo un Paese che ha fatto i conti con il proprio passato, restituendo giustizia e verità sulle parti più oscure della propria storia, potrà dirsi veramente libero dalla contaminazione, dal ricatto e dalla sporca convivenza tra pezzi di Stato e la mafia.