
25 Aprile: la Resistenza tradita

Quando la memoria si fa lotta: la giornata della Liberazione tra militarismo e diritti negati
Il 25 aprile non è solo l’anniversario della Liberazione dal nazifascismo, ma il simbolo della rinascita democratica del nostro Paese. Una rinascita conquistata con il sangue e il sacrificio di migliaia di partigiani, donne e uomini che combatterono per costruire una nuova società, libera, giusta e fondata sui valori della Costituzione repubblicana.
Oggi, però, è lecito domandarsi quanto di quello spirito sopravviva nelle scelte politiche del presente. Il 12 marzo scorso, il Parlamento Europeo ha approvato un piano straordinario da 800 miliardi di euro con l’obiettivo di portare l’Europa alla “piena prontezza militare” entro il 2030. Piano che segna un cambio di rotta radicale: l’Unione, nata come progetto di pace dopo due conflitti mondiali devastanti, sceglie la strada del riarmo massiccio e della militarizzazione.
Dietro la retorica della sicurezza e della difesa comune, si nasconde un disegno che prevede il rafforzamento dell’industria bellica, la crescita delle spese militari nazionali e una progressiva riduzione degli investimenti nei settori fondamentali: la sanità, l’istruzione, il welfare e la lotta alla povertà. L’Italia è tra i principali promotori di questo riarmo, in nome di una presunta modernizzazione della difesa, in un momento in cui la diplomazia dovrebbe essere la via maestra per la risoluzione dei conflitti, come indicato dall’Articolo 11 della nostra Costituzione – “l’Italia ripudia la guerra” – il nostro Paese si allinea invece alle logiche belliche, rinnegando il suo storico ruolo di mediatore internazionale.
Questa tendenza non nasce dal nulla: dalla fine della Seconda guerra mondiale, l’Italia è di fatto un paese a sovranità limitata trasformata in uno degli avamposti strategici della NATO nel Mediterraneo. Il suo territorio ospita tutt’oggi decine di basi militari statunitensi, con migliaia di soldati USA permanenti e che esercitano costanti intromissioni nelle scelte geopolitiche italiane. La strage di Portella della Ginestra, il 1° maggio 1947, viene considerata da molti storici come il primo episodio della strategia della tensione in Italia: fu un tentativo di fermare l’avanzata democratica delle forze popolari e progressiste nel dopoguerra. Da allora connivenze tra servizi segreti, massoneria, mafia e gruppi neofascisti hanno destabilizzato il Paese attraverso omicidi politici e stragi. Ricordiamo in particolare l'organizzazione paramilitare Gladio, creata dalla Cia e dai servizi segreti italiani, avente l’obiettivo di arrestare la possibile ascesa del comunismo italiano; tali gruppi di potere hanno quindi minato l'equilibrio democratico, favorendo gli interessi atlantici e statunitensi. Questa eredità si riflette ancora oggi: le scelte di politica estera, le posizioni assunte nei conflitti internazionali, la totale dipendenza energetica e tecnologica dagli Stati Uniti. L’Italia, formalmente indipendente, si comporta troppo spesso come una colonia strategica, incapace di esprimere una propria voce autonoma nel contesto internazionale.
Come se non bastasse, assistiamo a un’inquietante mutamento rispetto al tema di sicurezza interna. Il DL Sicurezza 1660 rappresenta, secondo molti giuristi e costituzionalisti, un pericolosissimo passo verso la limitazione delle libertà civili. Il provvedimento, presentato come una misura per tutelare il personale in servizio – in particolare le forze dell’ordine – contiene in realtà una serie di norme che rischiano di criminalizzare il dissenso sociale e politico: scioperi, manifestazioni contro le multinazionali, proteste ambientali o sindacali potrebbero essere interpretati come “minacce all’ordine pubblico” e perseguiti penalmente. Il DL prevede anche la possibilità per gli agenti di dotarsi di un’ulteriore arma oltre a quella di servizio, misura che, se combinata con l’estensione della “presunzione di legittima difesa”, potrebbe aprire la strada a una pericolosa militarizzazione delle forze di polizia. Chi controllerà il potere armato, se a quest’ultimo viene garantita immunità preventiva? Il rischio è che si consolidi una forma di autoritarismo mascherato, dove la forza dello Stato prevarica sui diritti dei cittadini.
Prendendo in considerazione questi scenari, il ricordo del 25 aprile non può essere confinato alle celebrazioni ufficiali. Oggi più che mai c’è bisogno di una nuova Resistenza, una resistenza civile, culturale, politica, capace di opporsi alle logiche della guerra, alla repressione del dissenso, alla subordinazione dell’Italia a interessi stranieri. Resistere significa anche schierarsi apertamente a difesa dei popoli oppressi nel mondo: dalla Palestina, costretta a vivere sotto occupazione e a subire sistematiche violazioni dei diritti umani, alla resistenza curda, che da decenni lotta per l’autonomia e la libertà culturale, fino alla crisi umanitaria dello Yemen, dove le potenze regionali si contendono il controllo a spese della popolazione civile.
Essere solidali non è un gesto ideologico, ma un atto di umanità. Significa riconoscere il diritto di ogni popolo alla pace, alla giustizia, all’autodeterminazione.
La giornata del 25 aprile ci insegna che la libertà non è un dono, ma una conquista quotidiana e che la Costituzione non è un pezzo di carta da esibire nelle ricorrenze, ma un patto vivo da rispettare e difendere ogni giorno. La democrazia, se non vigilata, rischia di trasformarsi in facciata e le conquiste sociali possono essere smantellate con la stessa rapidità con cui furono ottenute. Oggi è nostro compito raccogliere il testimone dei partigiani e portare avanti una nuova Resistenza: fatta di consapevolezza, solidarietà, partecipazione attiva perché “la libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare”.