
La mano dell’Occidente nella guerra civile in congo per il possesso dei minerali

La mano dell’Occidente nella guerra civile in congo per il possesso dei minerali
I ribelli raggiungono il centro di Bukavu. Il presidente Felix Tshiseked: "Abbiamo ancora noi il controllo"
L’offensiva dei ribelli dell’M23 non si ferma. Dopo che il 27 gennaio,hanno preso il controllo della città strategica di Goma, capoluogo del Nord Kivu, tra il 1° e il 3 febbraio, l'M23 hanno proseguito la loro avanzata verso sud, conquistando Bukavu, un importante centro commerciale nel Sud Kivu e scatenando un’ondata di fughe tra i civili.
Il 5 febbraio, hanno occupato la città di Kamanyola, vicino al confine con il Ruanda e il Burundi, consolidando il loro controllo sulla zona. Due giorni dopo, il 7 febbraio, hanno preso il controllo delle principali vie di comunicazione che collegano Bukavu a Uvira, un’altra località strategica sulle rive del lago Tanganica. Il 10 febbraio, completando l'occupazione di Uvira, l’M23 ha conquistato un altro punto fondamentale nella regione.
Nella progressiva offensiva si sono spinti fino all’aeroporto di Goma, occupandolo il 13 febbraio, il che ha rappresentato un grave colpo alle forze armate della RDC (FARDC), impedendo ogni rifornimento aereo e aumentando il caos nella capitale del Nord Kivu.
Nel frattempo, tra il 12 e il 14 febbraio, si sono intensificati gli scontri tra l’M23 e le FARDC nella zona di Sake, a ovest di Goma. Questo centro strategico è stato
oggetto di aspri combattimenti, mentre i ribelli cercavano di consolidare la loro posizione prima di proseguire l’avanzata verso altre città come Butembo, la terza città più grande della regione con circa 150.000 abitanti.
L'avanzata dell'M23 ha avuto gravi conseguenze per la popolazione civile: oltre 300.000 persone sono state costrette a fuggire dalle loro case, e le organizzazioni umanitarie segnalano difficoltà enormi nel fornire assistenza, poiché molte delle aree colpite sono difficili da raggiungere a causa dell'instabilità. Il Programma Alimentare Mondiale (PAM) ha lanciato un allarme per la rapida esaurizione delle scorte alimentari, mentre i corridoi umanitari restano bloccati.
Le violazioni dei diritti umani sono in aumento, con l'ONU che ha denunciato attacchi contro i civili, inclusi bambini soldato, violenze sessuali e saccheggi. Il 18 febbraio, il rapporto dell'ONU ha reso noti questi crimini di guerra, alimentando la preoccupazione internazionale.
Le reazioni esterne sono state forti: gli Stati Uniti hanno minacciato nuove sanzioni contro il Ruanda, accusato di sostenere l'M23. L'Unione Africana ha inviato una missione diplomatica in Congo e Ruanda per cercare una soluzione, ma senza risultati tangibili.
Inoltre, Francia e Regno Unito hanno chiesto un rafforzamento della missione di peacekeeping della MONUSCO, nonostante la sua presenza in Congo sia in fase di disimpegno.
Mentre il governo congolese è in evidente difficoltà, il presidente Félix Tshisekedi ha richiesto l’ intervento urgente della comunità internazionale per fermare l’avanzata dei ribelli. Il Ruanda continua a negare ogni coinvolgimento, nonostante emergano prove crescenti del suo sostegno all’M23. La situazione rimane quindi estremamente tesa, con il rischio che il conflitto si estenda ad altre aree della regione dei Grandi Laghi, destabilizzando ulteriormente l'intera zona.
Stragi di innocenti
Gli eccidi indiscriminati continuano senza sosta. Nella provincia di Ituri, almeno 35 persone appartenenti alla comunità dei pastori Hema sono state uccise dai miliziani della CODECO, uno dei numerosi gruppi di guerriglieri attivi nel Congo orientale, in lotta per il controllo dei territori e delle risorse.
I combattimenti, che si erano temporaneamente fermati il 4 febbraio dopo un annuncio di cessate il fuoco da parte dell’Alleanza del Fiume Congo (una coalizione ribelle di cui fa parte anche il gruppo M23), sono ripresi già 48 ore dopo. Nel caos generato dai conflitti, i detenuti della prigione di Munzenze sono riusciti a evadere, invadendo l’ala femminile della struttura. Qui, hanno commesso più di 150 stupri, per poi dare fuoco alla prigione nel tentativo di coprire le atrocità. Le donne violentate sono state arse vive tra le fiamme.
L’episodio del carcere di Munzenze rappresenta senza dubbio una delle peggiori atrocità delle ultime settimane. A peggiorare ulteriormente la situazione è stato l’impossibilità da parte dei peacekeeper dell’ONU di effettuare sopralluoghi nella prigione, lasciando impuniti i crimini commessi.
Missionari e inviati delle Nazioni Unite nella regione riportano un bilancio agghiacciante: oltre 3000 morti, di cui 2000 sepolti, 900 conservati negli obitori e decine di cadaveri abbandonati a marcire all’aeroporto e nelle carceri. Più del 70% delle vittime sono civili, colpiti indiscriminatamente dalla violenza.
La paura, tuttavia, non si placa con la fine degli scontri. La regione sta affrontando un aumento esponenziale di casi di colera, morbillo e vaiolo delle scimmie, mentre gli ospedali sono sotto stress a causa dell’afflusso di nuovi feriti. Solo da fine gennaio, si contano circa 2800 feriti, che hanno ulteriormente aggravato un sistema sanitario già al collasso.
Le vere ragioni della guerra: la lotta per le terre rare
Non è un caso che il territorio conteso sia ricco di metalli preziosi e terre rare: insieme, la Repubblica Democratica del Congo e il Ruanda forniscono circa la metà del Coltan del mondo, il minerale metallico che è vitale per produrre telefoni e laptop. Nonostante la plateale violazione del diritto internazionale con annessa pulizia etnica, il Consiglio di Sicurezza e la comunità internazionale non hanno adottato alcun provvedimento concreto contro il Ruanda che sostiene i ribelli M23.
Il motivo è presto detto: gli interessi occidentali nell’accesso ai minerali fondamentali per l’high tech.
Basti pensare che solo un anno fa, Bruxelles ha siglato con Kigali un memorandum d’intesa (MoU) del valore di 900 milioni di euro sulle catene del valore delle materie prime “sostenibili”, ma evidentemente a caro prezzo per i popoli locali. Certamente le violenze e i soprusi avvengono a km 0 nei territori contesi. Sono esperti, gruppi di diritti e analisti delle Nazioni Unite a denunciare che il Ruanda contrabbanda grandi quantità di Coltan - così come oro e altri metalli - fuori dalla Repubblica Democratica del Congo orientale e lo vende come proprio.
Lo scorso aprile, i ribelli avevano sequestrato Rubaya, le cui miniere producono circa il 15% del Coltan mondiale. Un commercio illegale che permette all’M23 di fatturare $800.000 al mese, secondo le Nazioni Unite.
Un gruppo di avvocati internazionali, guidato da Robert Amsterdam di Amsterdam & Partners LLP (Washington D.C.) e William Bourdon di Bourdon & Associés (Parigi), ha accusato Apple e altre grandi aziende tecnologiche di utilizzare "minerali insanguinati" provenienti dalla Repubblica Democratica del Congo (RDC),. Il rapporto, denuncia come il Ruanda, attraverso gruppi armati come l'M23, saccheggi minerali come stagno, tungsteno e tantalio dalla RDC, per poi esportarli illegalmente.
Il rapporto evidenzia come il commercio illegale di minerali sia strutturato come un crimine organizzato transnazionale, con la complicità di regolatori internazionali e istituzioni. Inoltre, ONG come Global Witness hanno documentato la presenza di lavoro minorile e la mancata tracciabilità dei minerali, con certificazioni spesso fraudolente. Gli avvocati chiedono maggiore trasparenza e responsabilità da parte delle multinazionali, sottolineando che il silenzio e l'inazione perpetuano un sistema criminale che danneggia le popolazioni congolesi e l'ambiente.
Robert Amsterdam, un avvocato che ha presentato un procedimento penale contro Apple a dicembre per conto del governo congolese , ha affermato che i governi e le società occidentali sono ampiamente responsabili delle stragi in corso.
“L’industria tecnologica ha finanziato i crimini di guerra del Ruanda”, ha affermato, spiegando che il Paese è sempre tra i primi 10 più grandi esportatori di Coltan.Un primato che sarebbe impossibile con le riserve che hanno
Ma perchè dunque questa guerra ora? In passato, le aziende statunitensi possedevano grandi miniere di cobalto in Congo, ma negli ultimi anni la maggior parte di queste è stata venduta a società cinesi. Pensato che il South China Morning Post descrive la Repubblica Democratica del Congo (RDC) come "l'epicentro degli investimenti cinesi in Africa". Un cambiamento generato dalla significativa diminuzione degli investimenti statunitensi. Ad esempio, nel 2016, la società mineraria statunitense Freeport-McMoRan ha venduto il sito di estrazione di rame e cobalto Tenke Fungurume alla China Molybdenum Company. Nel 2020, Freeport-McMoRan ha venduto un altro sito non sviluppato di rame e cobalto alla stessa azienda cinese.
L’Occidente è disposto a tutto pur di non perdere il primato dato dalla rendita delle terre rare sporche di sangue