
Le mire di Trump sulla Groenlandia: l’impero si prepara a fronteggiare la Cina

Le mire di Trump sulla Groenlandia: l’impero si prepara a fronteggiare la Cina
L’isola diventa il nuovo campo di battaglia tra Washington e Pechino con gravi ripercussioni sull’ecosistema e la popolazione locale.
Potrebbe trattarsi di un romanzo di fantapolitica un po’ distopico, ma stiamo parlando invece della realtà delle relazioni internazionali ai giorni d’oggi. L’America di Donald Trump si arroga il diritto di prendere possesso della Groenlandia. Lo ha dichiarato lo stesso neo-eletto presidente USA in un’intervista del 7 gennaio.
Secondo il tycoon, l’isola non sarebbe adeguatamente difesa in caso di un attacco russo o cinese attraverso l’Artico, pertanto la sua posizione strategica la rende preziosa anche per gli Stati Uniti. Un avamposto statunitense già esistente, la base spaziale Pituffik, è fondamentale per l’allarme rapido e la difesa missilistica e una sua futura espansione potrebbe anche migliorare le capacità degli Stati Uniti di monitorare i movimenti navali russi nell’Oceano Artico e nel Nord Atlantico.
Ma non si tratta solo di una questione di dispiegamenti militari. Il sottosuolo è ricco di “minerali critici”, essenziali per il funzionamento di molti settori industriali. Da un punto di vista economico, secondo un rapporto dell’Economist del 2024, l’isola ha giacimenti di 43 su 50 di questi minerali. Secondo il Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti, si tratta di materie prime essenziali per “le tecnologie che producono, trasmettono, immagazzinano e conservano energia” e presentano “un alto rischio di interruzione della catena di approvvigionamento”.
In sostanza, la sovranità degli Stati Uniti sulla Groenlandia, a seguito di un eventuale accordo con la Danimarca, potrebbe ostacolare qualsiasi tentativo di espansione della Cina sull'isola. Questo scenario sarebbe meno problematico se l’isola rimanesse sotto il controllo della Danimarca, che è membro della NATO e continua a sostenerla economicamente, con una sovvenzione annuale di circa 500 milioni di dollari. Tuttavia, con il crescente supporto per l’indipendenza della Groenlandia, potrebbero aprirsi opportunità per investimenti esteri meno regolamentati, dove la Cina potrebbe essere particolarmente motivata a intervenire.
Una prospettiva inaccettabile per la Casa Bianca.L’impero Usa, in questa fase terminale, aumenta la sua ferocia cercando di inasprire la sua dottrina Monroe. Una posizione strategica che ha in sostanza proibito agli Stati esteri potenzialmente minacciosi di dispiegare forze militari nell’emisfero occidentale, mentre al contrario, Washington non ha mancato di violare questa condotta nei confronti del resto del mondo.
Tuttavia, il piano di Trump, adottando un approccio espansionista che richiama le pratiche imperialiste del XIX secolo invece di rafforzare la sicurezza degli Stati Uniti, rischia di minare ulteriormente l’alleanza occidentale, un aspetto fondamentale per la politica estera americana. L’idea di "incorporare" la Groenlandia negli Stati Uniti, pur offrendo alcuni vantaggi strategici, potrebbe anche isolare Washington e danneggiare la cooperazione con gli alleati NATO ed europei.
Una mossa che decreta la Cina, come la principale sfida per gli Stati Uniti nel prossimo futuro. Ad affermarlo sono anche i leader delle principali agenzie di intelligence degli Stati Uniti che hanno presentato, l'11 marzo, l'ATA 2024 (Annual Threat Assessment) al Congresso. Questo documento offre una panoramica sulle principali minacce alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti, delineando gli orientamenti strategici delle agenzie di intelligence. Pur non avendo un carattere classificato in relazione alle minacce, gran parte del report si concentra, come già accaduto nei documenti del 2022 e 2023, sulla Cina di Xi Jinping.
Secondo il report, Pechino ha la colpa imperdonabile di cercare di ridimensionare l’influenza statunitense nel mondo, e per questo potrebbe provare a influenzare l’esito delle elezioni presidenziali del 2024 favorendo i soggetti politici meno diffidenti verso Pechino, semina e seminerà sempre più “discordia” nel rapporto fra Washington e i suoi partner.
Secondo un rapporto della Banca Mondiale, Pechino ha già superato gli Stati Uniti nel pil a parità di potere d’acquisto che, già nel 2022, aveva un valore del 25% superiore a quello USA.
Non era un mistero che il “dragone” sarebbe divenuto un problema di primaria importanza per gli interessi egemonici dell’impero americano, già in tempi ancora più remoti. Nel documento del PNAC (Project for the New American Century), pubblicato nel 1997 e che vide tra i fondatori, l'élite neocon tra cui figuravano personaggi come Dick Cheney e Donald Rumsfeld, si era delineato uno scenario in cui, nel 2017, la Cina sarebbe divenuta “la principale minaccia per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti d’America”.
Pechino sta superando gli Stati Uniti e l'Occidente nella competizione globale per le tecnologie emergenti. Secondo un recente studio dell’Australian Strategic Policy Institute, il Paese ha già un vantaggio significativo in 37 delle 44 tecnologie critiche esaminate, tra cui difesa, spazio, robotica, energia, biotecnologie e tecnologia quantistica. Negli ultimi cinque anni, Pechino ha prodotto il 48,49% dei brevetti di ricerca ad alto impatto sui motori aeronautici avanzati e ha fatto progressi in campi come la biologia sintetica, il 5G e le batterie elettriche.
Per Washington l’ordine unipolare a guida Usa non deve essere rovesciato in alcun modo: era già tutto scritto nel National Security Strategy of the United States pubblicato dalla Casa Bianca nell’agosto 1991, dove è stato ribadito che “non può esistere sostituto alla leadership americana”, mentre nel “Progetto di guida alla pianificazione della difesa” redatto dal Pentagono nel 1992 si chiarisce che l’obbiettivo primario statunitense è impedire il riemergere di un nuovo rivale le cui risorse sarebbero sufficienti, se controllate strettamente, a generare una potenza globale". Una strategia che si applica anche verso i paesi industrializzati avanzati, per dissuaderli dallo sfidare la leadership americana o cercare di capovolgere l'ordine politico ed economico costituito.
Il saccheggio Groenlandese: l’ultima minaccia per l’ecosistema subartico
Perché questo territorio, a prima vista glaciale e ostile, attrae tanto interesse? Il cambiamento climatico in Groenlandia ha aperto la strada a una caccia alle risorse che questa terra custodisce. Un patrimonio minerario che sta diventando sempre più accessibile grazie al progressivo scioglimento della calotta glaciale che ricopre l'81% del territorio, innescando una vera e propria corsa all'oro del XXI secolo tra le maggiori potenze mondiali.
Secondo un rapporto dell'US Geological Survey (l'agenzia statale americana che studia il territorio e le dinamiche naturali), nel sottosuolo dell'isola artica sono stati scoperti giacimenti di petrolio e gas - si stima il 13% delle risorse mondiali di petrolio e il 30% di quelle di gas - riserve auree, ma anche rubini, diamanti e zinco: un vero e proprio Eldorado energetico ricoperto dai ghiacci.
La Groenlandia, oltre ad essere ricca di idrocarburi come petrolio e gas naturale, è infatti estremamente ricca delle cosiddette materie prime critiche, ovvero di un gruppo di materiali rari, come il cobalto, il litio e il nickel, che hanno un ruolo fondamentale nel settore tecnologico, in particolare per l’industria dei semiconduttori. Il Paese che a livello mondiale esporta la maggior parte dei metalli rari è la Cina, che a tutt’oggi mantiene una sorta di monopolio nel settore. Costruire un’indipendenza in questo senso dal gigante asiatico è uno degli obiettivi di Washington e delle multinazionali occidentali, che da anni cercano siti alternativi per l’estrazione delle materie prime più importanti.
L’isola – amministrata dalla Danimarca – rappresenta un corridoio sull’Artico, area su cui hanno già posato gli occhi anche Russia e Cina, per ampliare la propria sfera di influenza. Per via del surriscaldamento globale che sta causando lo scioglimento sempre più veloce dei ghiacciai, l’Artico si sta trasformando in uno dei luoghi più strategici del pianeta, dove la Groenlandia rappresenta lo scalo più prossimo. Sotto il cielo granitico della regione polare, negli ultimi anni, le rotte commercialmente percorribili sono già aumentate del 37%; fenomeno che non accenna a fermarsi negli anni a venire, e che trasformerebbe l’oceano Artico in qualcosa di simile a un canale di Suez 2.0, con la possibilità di ridurre del 40% i tempi di navigazione rispetto a quanto richiede il passaggio per lo svincolo nel Mar Rosso. Un centro nevralgico per i trasporti e i commerci tra Asia, Europa e continente Americano.
Non a caso la Cina ha iniziato da tempo ad interessarsi alla Groenlandia, proponendo lo scorso anno forti investimenti per costruire aeroporti e stabilimenti minerari sull’isola, nell’ambito di un progetto che qualcuno ha ribattezzato “la via della seta artica”.
A risentirne però è anche l’economia e la popolazione dell’immensa isola danese. Dal 1990 il paese ha registrato un deficit commerciale costante, con un'economia fortemente dipendente dalla pesca, che rappresenta oltre il 90% delle esportazioni totali. Con lo scioglimento dei ghiacci i villaggi che vivevano della pesca stanno scomparendo, dal momento che i pesci sono andati più a Nord, in cerca di acque più fredde. Di conseguenza aumentano la disoccupazione, l'esodo della popolazione e i suicidi.
Ultimo ma non ultimo, tra i grandi giacimenti minerari spicca anche uno dei più grandi giacimenti di uranio al mondo situato a Kvanefjeld, vicino alla cittadina di Narsaq, che è già nel mirino dell’attenzione internazionale: scoperto nel 1957, vietato all'estrazione fino al 2013, oggi è al centro di un progetto minerario da 60 milioni di sterline della società australiana Gme.
La Groenlandia e di conseguenza anche la Danimarca, sembrano essere perciò sul punto di assumere insieme un ruolo decisivo nel mercato mondiale dell'uranio.
Un'idea che fa paura a gran parte dell'opinione pubblica del Grande Nord.
Per ora il Canada, l'Australia e il Kazakistan sono i grandi paesi esportatori. Considerando però le gigantesche riserve locali, anche la Danimarca e la Groenlandia potrebbero entrare nel club. Sotto questo aspetto la situazione diventa molto più complicata, non solo per il fatto che il mercato dell'uranio è uno dei più opachi del mondo, ma specialmente perché il 92° elemento della tavola periodica è il principale metallo necessario per il funzionamento delle centrali nucleari e per la costruzione delle bombe atomiche.