Mafia, massoneria, Stati Uniti: una presentazione artistica per denunciare l’assenza di verità sulla strage che sancì la nascita della nostra Repubblica
“Siamo qui per commemorare la strage di Portella della Ginestra, una strage di Stato, una strage di mafia, un evento su cui ancora non abbiamo giustizia e verità: noi crediamo che attraverso l’arte si possa mandare un messaggio di denuncia. Crediamo che attraverso l’arte si possa mandare un messaggio di denuncia politica e sociale, ma allo stesso tempo un’alternativa, una speranza affinché i valori della rivoluzione possano continuare ad essere presenti fino al giorno d’oggi per ricordare quegli 11 compagni e compagne che sono morte in questa strage”.
Così si è espressa Sonia Bongiovanni, ricordando quel tragico 1 maggio del 1947, quando circa duemila lavoratori provenienti dalla zona di San Giuseppe Jato, Piana degli Albanesi e San Cipirello si riunirono a Portella della Ginestra per manifestare contro il latifondismo e a favore della riforma agraria e soprattutto per festeggiare la vittoria del Blocco del popolo, la storica alleanza tra socialisti e comunisti, che pochi giorni prima aveva vinto alle elezioni dell’assemblea regionale siciliana con il 32% dei voti. Nel pieno dei festeggiamenti, partirono raffiche di mitra dal promontorio vicino, più precisamente dal monte Pelavet, che colpirono la folla e che uccisero undici persone (fra adulti e bambini) e ne ferirono 27, tra cui alcune morirono in seguito a causa delle gravi ferite riportate.
Già nel ‘47 le indagini accerteranno che l’autore materiale dell’eccidio fu il bandito indipendentista Salvatore Giuliano, insieme ai suoi venti uomini della banda: una tesi poi confermata nel 1950 dalla sentenza della Corte d’Assise, la quale dichiarò che il fatto sarebbe stato compiuto solo ed esclusivamente dal bandito Giuliano e la sua banda senza alcun ausilio esterno. Giuliano parlò fin da subito del coinvolgimento di vari deputati monarchici fra i quali Giovanni Alliata, Tommaso Leone Marchesano, Giacomo Cusumano Geloso e i democristiani Bernardo Mattarella e l’allora Ministro dell’Interno Mario Scelba, accusandoli di aver organizzato (insieme a lui) una riunione per pianificare la strage (Accuse che verranno ritenute infondate dalla stessa corte). Il 5 luglio 1950 il corpo di Salvatore Giuliano fu ritrovato privo di vita a Castelvetrano, nel cortile Di Maria.
Il suo luogotenente Gaspare Pisciotta durante il processo di Viterbo che gli valse una condanna all’ergastolo, dichiarò: “Siamo un solo corpo: banditi, polizia e mafia. Come il padre, il figlio e lo spirito santo”. In carcere Pisciotta contattò un magistrato inquirente perché aveva l'intenzione di collaborare. Suddetta dichiarazione sancì la sua condanna a morte il 9 febbraio 1954, all’interno del carcere dell’Ucciardone di Palermo, a causa di un caffè corretto alla stricnina: purtroppo, con lui sparirono anche quelle preziose informazioni che avrebbe dovuto dichiarare pubblicamente.
L’eccidio di Portella della Ginestra è senza dubbio uno dei più pesanti scheletri nell’armadio della nostra Repubblica, come ha voluto sottolineare Marta Capaccioni (membro di Our Voice) ai microfoni di local team: “È vergognoso che dopo 75 anni ancora non siano stati declassificati gli atti coperti dal segreto di Stato. La verità dietro questa strage fa paura, significa che questa verità potrebbe destabilizzare l’assetto politico, istituzionale e costituzionale del nostro Paese. Noi come giovani pretendiamo dal Governo Draghi che apra gli archivi di Stato su questa Strage”. Una denuncia diretta e chiara contro il silenzio e l’omertà di chi ancora oggi vuole tenere nascosta la verità sul 1° maggio del 1947. È vergognoso che dopo 75 anni gli unici atti declassificati sono stati quelli dei servizi segreti inglesi. Il nostro Paese intanto tace.
Ma è un fatto che da quel giorno iniziò una strategia di destabilizzazione degli equilibri del potere del nostro Paese che si sarebbe ripetuta negli attentati e nelle stragi degli anni ’70, ’80 e persino ’90 e che sarebbe stata finalizzata all’allontanamento del pericolo comunista dall’Italia. Quello di Portella della Ginestra non fu un evento isolato, ma la chiave per comprendere la natura e la realtà dei successivi cinquant’anni, durante i quali bombe, tentati colpi di Stato e misteri, ancora oggi irrisolti, insanguinarono la nostra Repubblica, uccidendo decine e decine di cittadine e cittadini. Ogni evento collegato all’altro da un unico filo rosso: da Portella a Piazza Fontana, da Piazza della Loggia e piazza Bologna.
La presentazione artistica che abbiamo organizzato ai piedi della stele era costituita da sei figure. L’uomo al centro, colorato di bianco, con cinque occhi dipinti in viso e due bandiere che gli scivolavano dalle spalle, rappresentava la convergenza di interessi che ci fu dietro la strage: mafia, eversione, servizi segreti americani, personaggi della massoneria deviata e della Chiesa. Tre sono i simboli principali: un crocifisso oro al collo, la Chiesa; una lupara oro sulla mano destra, la mafia; e un compasso oro sulla mano sinistra, la massoneria. Accanto a lui si muovevano cinque figure, le quali si coprivano con le mani rispettivamente occhi e bocca: erano gli uomini di potere, esponenti delle istituzioni deviate del nostro Stato e delle organizzazioni criminali, i mandanti della strage di cui nessuno conosce ancora oggi i nomi.
Con questa protesta abbiamo voluto essere presenti a Portella della Ginestra due giorni fa: perché il primo maggio non è solo un giorno di festa, ma di lotta e di richiesta incessante per la verità. Noi non accettiamo che dopo 75 anni gli atti riguardanti Portella della Ginestra continuino ad essere coperti dal segreto di Stato.
È lecito chiedersi perché dopo tre quarti di secolo la politica italiana non vuole parlare di ciò che accadde quel’1° maggio del 1947? Forse quella verità potrebbe destabilizzare ancora oggi il nostro assetto costituzionale? Forse la verità che si cela dietro alla prima strage della nostra Repubblica rappresenta un compromesso troppo delicato per il nostro Stato e la declassificazione degli atti metterebbe in crisi il nostro intero sistema politico ed istituzionale, compresa la classe dirigente attuale. Come giovani, come studenti e studentesse, come lavoratori e lavoratrici pretendiamo dall’attuale Presidente del Consiglio Mario Draghi, che ha il potere di farlo, l’apertura degli archivi di Stato. Quella del popolo italiano non è una richiesta, ma un’esigenza e un diritto a conoscere la verità sulla nascita della nostra Repubblica.
Foto © Our Voice